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L’assedio perenne di Gaza

“Niente fa apparire la pace così desiderabile come le terribili sofferenze e distruzioni della guerra; questo accadde anche agli arabi e agli israeliani dopo ciascun conflitto. D’altra parte le guerre provocano anche desiderio di vendetta e rivalsa, e mutamenti territoriali che alcuni vogliono preservare, altri annullare, preparando il terreno per ulteriori conflitti (…) il conflitto arabo – israeliano non costituisce un’eccezione. All’inizio degli anni ’50 Ben Gurion era convinto che la pace avrebbe finito con l’affermarsi tra arabi e israeliani solo quando i primi avessero constatato a proprie spese che lo stato ebraico era troppo forte e troppo risoluto per essere sconfitto. Allora essi si sarebbero rassegnati e alla sua esistenza e avrebbero scelto la pace. Dalla prospettiva degli anni ’90, la prognosi di Ben Gurion appare sostanzialmente corretta (…) furono il sommarsi di vari processi a rendere possibili, nel 1991, la conferenza di pace di Madrid e poi, dopo la formazione in Israele di un governo più disponibile al dialogo, gli accordi di Oslo, basati sul riconoscimento reciproco d’Israele e OLP e sul graduale ritiro israeliano dalla striscia di Gaza e dalla Cisgiordania…”

Così scriveva lo storico israeliano Benny Morris nel 2001.

Ventidue anni dopo, a leggere ed ascoltare gran parte dell’opinione pubblica italiana ed occidentale, sembra di essere rimasti lì, a queste parole, al 2001, alle intenzioni del dopo Oslo.
A sentire la maggioranza dell’opinione pubblica italiana, l’incursione terroristica di Hamas sembra essere avvenuta all’improvviso, a frantumare un processo di pacificazione ben avviato, che ormai davamo per scontato, visto che non se ne parlava quasi più.
Ed in effetti l’11 settembre prima, le guerre in Afghanistan e in Iraq poi, le primavere arabe, l’Isis, la Siria, il Bataclan e tutto il resto – fino al Covid e all’Ucraina – avevano messo ai margini il tema palestinese, che era stato così centrale per tutta la seconda metà del Novecento.
E invece, in questi ultimi vent’anni, la prognosi di di Ben Gurion si è sì avverata (gli Stati arabi hanno accettato ormai completamente l’esistenza di Israele) ma si è anche capovolta, perchè con i vari governi Netanyahu è stato Israele, a sua volta, a riconoscere sempre meno il diritto del popolo palestinese ad essere Stato, portando avanti l’occupazione e la colonizzazione israeliana in Cisgiordania e ponendo in stato d’assedio perenne Gaza.
Eppure, l’insipienza e l’ignoranza della Storia dell’opinione pubblica italiana hanno fatto sì che gli attentati del 7 ottobre siano stati presentati come un fulmine a ciel sereno, una follia a sé stante, un atto antisemita, decontestualizzando completamente la situazione palestinese e ponendo così le basi per capirla ancora meno quando si radicalizzerà ancora di più (si legga il reportage di Cremonesi sul Corriere della Sera del 29 ottobre, scritto da uno che non tornava da vent’anni in Cisgiordania e che rimane attonito dalla profondità della colonizzazione e dalla conseguente irreversibilità dell’escalation che verrà).

Con un’opinione pubblica ridotta così, come Volpi Scapigliate, non possiamo non pensare a quanto sia disincentivata l’attività dei reporter di guerra, freelance o meno, ma anche a quanto sia ancor più fondamentale per avere degli scampoli attraverso i quali si può capire il presente: ad oggi, sono calcolati ad una trentina i giornalisti uccisi a Gaza in tre settimane.

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24 MAGGIO 2023: Dar voce a chi non ha voce

UN IMPORTANTE APPUNTAMENTO PER LA CITTADINANZA

Andy Rocchelli
Dar voce a chi non ha voce

Mercoledì 24 maggio 2023 dalle ore 18
Aula magna collegio Cairoli piazza Cairoli 1 Pavia.
Interverranno:
Andrea Zanoncelli Sostituto Procuratore in funzioni presso la Procura della Repubblica presso
il Tribunale di Pavia
;
Francesco Carante Socio fondatore delle Volpi Scapigliate;
Luca Santese Socio fondatore di Cesura.
Modera l’incontro Giacomo Bertoni osservatore ed editor di Ossigeno per l’informazione.

A nove anni dalla sua scomparsa, parleremo di Andy, oltre che come giornalista, anche dal punto di vista umano; raccontando il suo lavoro, le circostanze in cui è stato ucciso, gli ostacoli e le difficoltà nella ricerca della verità e della giustizia in tribunale.

Discuteremo dello scarto tra la sentenza di primo grado e le due successive: la prima è stata più pesante della richiesta dell’accusa, mentre Appello e Cassazione hanno cancellato l’originale condanna per una questione di vizio di forma.

Infine racconteremo di come la vicenda e la morte di un amico ci abbiano spinto a dare vita ad una associazione (le Volpi Scapiglate) che si occupa proprio della libertà di informazione e dei valori cari
ad Andy.


L’incontro è aperto a tutta la cittadinanza.

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Cercare la verità, combattere la disinformazione, dare voce a chi non ha voce. 

Come Volpi Scapigliate abbiamo chiesto al nostro amico e giornalista Giacomo Bertoni di scrivere un pezzo in memoria di Andy, che oggi avrebbe compiuto 39 anni.
Ecco le sue parole, oggi in edicola sul quotidiano la Provincia Pavese.

Cercare la verità, combattere la disinformazione, dare voce a chi non ha voce. Oggi Andy Rocchelli avrebbe compiuto 39 anni e noi vogliamo ricordarlo perché crediamo che queste parole non siano solo slogan. Vogliamo ricordarlo dalle pagine del quotidiano di Pavia, perché Andy era pavese ed era giornalista. 

Andy era un fotoreporter: con la macchina fotografica al collo osservava il mondo e andava là dove la Storia si scrive. Lo ha fatto a Beslan, nell’Ossezia del Nord, repubblica autonoma nel Caucaso Settentrionale, una città schiacciata da un passato di conflitti e un presente minacciato dall’estremismo islamico. Lo ha fatto a Osh, città che si trova a sud del Kirghizistan, dove la popolazione kirghisa e la minoranza uzbeca hanno intrapreso uno scontro violento. E ancora in Libia, dove la Primavera araba ha portato migliaia di persone a cercare di fuggire dal Paese, e in Calabria, dove la criminalità organizzata non perdona chi dice “no” ai suoi ricatti. Andy partiva, si immergeva in quelle realtà ferite per comprenderle prima e immortalarle poi. Per farle conoscere all’opinione pubblica, per rendere noti fatti che non trovavano e non trovano spazio nelle edizioni delle 20 dei telegiornali nazionali. 

Cercare la verità, combattere la disinformazione e dare voce a chi non ha voce non erano per Andy la scritta perfetta per un post da rilanciare sui social, erano semplicemente la quotidianità. È con questo spirito che nel maggio del 2014 Andy arriva in Ucraina, in un Donbass straziato dalla guerra fra esercito ucraino e separatisti filorussi. Lì fotografa le famiglie ucraine che si nascondono negli scantinati per sfuggire ai terribili colpi di mortaio che tutto distruggono. A guardare gli scatti di Andy, che faranno il giro del mondo, sembra di sentire il sibilo dei mortai e le voci concitate dei civili che cercano riparo. Ecco, i civili. Sono proprio loro le prime vittime di ogni conflitto, di ogni sopruso, di ogni abuso di potere. È proprio su di loro che Andy puntava l’obiettivo, per raccontare storie che la propaganda incrociata delle guerre cancella o strumentalizza. 

Il 24 maggio del 2014 i colpi di mortaio dell’esercito ucraino hanno rotto per sempre la sua macchina fotografica, ma la storia di Andy continua ogni volta che giornalismo e opinione pubblica si ritrovano dalla stessa parte della barricata per chiedere risposte a chi detiene il potere. Anche oggi, ne siamo certi, l’Andy 39enne sarebbe in giro per il mondo a raccogliere voci che altrimenti non avrebbero voce. Buon compleanno Andy, Pavia non ti dimentica. Giacomo Bertoni per Le Volpi Scapigliate 

Ad otto anni dalla sua morte ed all’inizio del conflitto che sta scrivendo la storia Europea dei nostri giorni, un documentario ha raccolto le inedite testimonianze dei militari ucraini che erano sulla collina di Karachun, da cui partirono i colpi di mortaio quel giorno. The Deserter, proiettato a Modena il 25 settembre, ha ottenuto la menzione speciale al DIG Festival, confermando le responsabilità evidenziate già dai processi.