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Sulla verità ci siamo, sulla giustizia non ancora

Le motivazioni della sentenza di assoluzione per Vitalyi Markiv pronunciata dalla Corte d’Appello di Milano segnano uno snodo cruciale della vicenda processuale legata all’omicidio di Andy Rocchelli e Andrej Mironov. Noi le abbiamo studiate a fondo e riteniamo opportuno offrirne una sintesi, oltre ad un nostro commento, perchè sono tanti e importanti i dati di fatto che emergono da questo documento.

Tutte le richieste di rinnovazione istruttoria da parte della difesa sono state respinte. E’ stata confermata l’attendibilità dei testimoni chiave, in particolare il fotografo William Roguelon e i giornalisti italiani, oggetto di critiche da parte della difesa che il dispositivo definisce “infondate”. In conclusione, si ritiene corretta e ampiamente provata la ricostruzione dei fatti operata dalla Corte d’Assise di Pavia. Ricordiamo i sommi capi di questa verità sofferta e difficile da rimettere insieme, ma confermata ancora una volta.

Andy e Andrei si sono recati in una zona teatro di un bombardamento precedente ma nella quale non era in corso alcuno scontro, per svolgere regolarmente la propria attività di fotoreporter di guerra. Sono stati avvistati dagli osservatori della Guardia Nazionale Ucraina, che disponevano di tutti gli elementi necessari a riconoscerli come civili, dagli abiti all’insegna del taxi. Come si legge a pagina 58 delle motivazioni della sentenza “Costoro hanno allertato i comandanti, i quali hanno dato l’ordine di sparare, comunicando altresì all’esercito le coordinate per l’uso dei mortai contro di loro”. Non vi erano filorussi, non ci sono state provocazioni. “Si è trattato quindi – prosegue il documento – di  un ordine illegittimamente dato dai comandanti, perchè in violazione delle norme che mirano alla protezione dei civili”. A seguire, il tiro al bersaglio – tecnicamente il fuoco di saturazione – durato oltre mezz’ora, avente come obiettivo l’eliminazione fisica dei giornalisti.

Questa è la verità, ed è una verità che contiene implicazioni pesanti. A Sloviansk l’Esercito Ucraino ha commesso crimini contro l’umanità, in violazione del diritto internazionale. Andy non è andato nel posto sbagliato, non è stato imprudente, non è finito nel fuoco incrociato. Andy è stato assassinato insieme al collega Andrej, sulla base di un ordine deliberato da parte della catena di comando ucraina con l’obiettivo di farli fuori.

Ma allora, da cosa dipende e che cosa implica l’assoluzione di Markiv?

Tutto nasce da un errore procedurale. E’ acclarato che Markiv si trovasse in servizio sulla collina il giorno dell’attacco. L’unico elemento che però lo colloca con certezza nella postazione da cui l’attacco è cominciato consiste in una serie di testimonianze da parte di commilitoni e superiori, in primis il suo superiore diretto Bogdan Matkiwsky. Siccome per queste figure sussistevano indizi di correità, il codice di procedura penale prevede che le loro deposizioni potessero essere rese soltanto alla presenza di un difensore e secondo una ritualità specifica, secondo la giuria diversa da quella seguita, il che renderebbe tali testimonianze non meno attendibili, ma inammissibili a livello procedurale. Da qui scaturisce il ragionevole dubbio: sappiamo che Markiv c’era, ma lo sappiamo grazie a prove che ci è fatto divieto di utilizzare. Sappiamo anche che l’Esercito Ucraino è colpevole, ma la responsibilità civile dello stesso è correlata giuridicamente alla condanna penale di Markiv, essendo quest’ultimo assolto per insufficienza di prove viene a cadere a sua volta.

In sintesi, sappiamo cosa è successo, sappiamo anche chi è stato, ma non possiamo ottenere giustizia a causa di un vizio di forma. Ecco cosa manca a questa sporca verità: la giustizia. Per questo noi non possiamo fermarci: proseguiamo al fianco della famiglia di Andy lungo la strada che porta dritto fino alla Cassazione. Perchè riconosciamo che la procedura penale deve rispettare delle regole, ma non possiamo accettare che un perverso crimine contro l’umanità che contravviene alla Convenzione di Ginevra rimanga impunito per colpa di un cavillo. Sarà pure la legge, ma non è giustizia. Il cammino è lungo e tortuoso, lo sapevamo. La strada degli uomini è spesso così, fatta di piccole grandi conquiste ma anche di alti ostacoli e colpi bassi. Noi ci teniamo stretta la conquista della verità, ma non ci fermiamo certo qui. Adesso vogliamo anche la giustizia. E andiamo avanti.

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